venerdì 8 febbraio 2013

Hipst hipst hurray

Dove Eco fa il punto della scandalosa situazione a Brooklyn


Non che sia una novità. Il sentore era già nell'aria e mi era stato anche confermato un paio d'anni fa quando ero in visita a New York. Ormai gli hipster hanno invaso Brooklyn. La copertina che annualmente il New Yorker dedica a Eustace Tilley ne è la conferma. 

Non ci resta che questo video per consolarci sullo stato degli hipster locali: un po' di sano provincialismo alla milanese per riportare il tutto alla classica moda del momento.

giovedì 7 febbraio 2013

riECcOci

Dove Eco predica bene e poi ruzzola 

Ah, avevo scordato di possedere un blog. Che sia arrivato il momento di tornare a scrivere? Ho un paio di progetti in gestazione, appena possibile pubblicherò notizie.

sabato 7 novembre 2009

Papaveri e baveri

Dove Eco vede sbocciare fiori vermigli in pieno Autunno

Che succede, cosa sono queste girandoline rosse che all'improvviso sbucano in tutti i baveri della gente per strada, oppure sui completi dei presentatori alla tv? Mi dimentico sempre di non essere in un paese indipendente ma in una nazione del Commonwealth. Il caffè lo compro sì in dollari ma sulle banconote c'è la faccia della nostra amata Elisabetta.

Questa settimana si celebra in Inghilterra e in tutte le nazioni del Commonwealth il Remembrance Day, meglio conosciuto da queste parti come Poppy day (il giorno del papavero). La festa si celebra dal 5 novembre e culmina l'11, quando all'undicesima ora dell'undicesimo giorno dell'undicesimo mese dell'anno si rispettano due minuti di silenzio. La data ricorda il giorno in cui s'è firmato l'armistizio che ha posto fine alla prima guerra mondiale, i due minuti ricordano le due grandi guerre. L'11 novembre è festa nazionale e si sta a casa! Per fortuna, ho proprio bisogno di un po' di tempo per poter ripassare i verbi modali.
Lascio la parola a wikipedia:
La relazione tra i papaveri e il Remembrance Day deriva dalla poesia "Nei campi di Fiandra", dell'ufficiale medico canadese John McCrae. L'emblema del papavero venne scelto perché questi fiori sbocciavano in alcuni dei peggiori campi di battaglia delle Fiandre nella I guerra mondiale. Il loro colore rosso è un simbolo appropriato per lo spargimento di sangue della guerra di trincea. Una donna francese di nome Madame E. Guérin introdusse l’utilizzo ormai diffuso dei papaveri artificiali distribuiti oggi. (Tipicamente, questi papaveri artificiali sono donati gratis, nonostante quasi tutti coloro che li accettano offrono una piccola donazione in cambio. Un dollaro è comune in Canada.)


sabato 24 ottobre 2009

In viaggio allucinante

Dove Eco racconta in breve (ma proprio in breve) il tragitto nell'etere e la sua attuale collocazione sulla costa pacifica

Osservo le onde dell'oceano Pacifico. Vi chiederete che fine ho fatto e perché non aggiorno da molto il blog. Ecco, già il fatto che sto osservano la costa pacifica dovrebbe essere un segno.
Ebbene sì, sono tornato in Canada e questa volta ci rimango per un po'. Mi scuso innanzitutto perché per i prossimi due mesi non potrò aggiornare con frequenza il blog (e lo scrivo in grassetto che non fa mai male). Un po' per impegni abbastanza serrati nella prima parte del mio viaggio, un po' perché al momento sono privo di portatile e aspetto il Boxing day (quando ci saranno saldi folli) per poterne pigliare uno.

Ma torniamo alla mia presenza nel sacro suolo canadese. Il tutto s'è svolto con un roccambolesco viaggio che è durato un'eternità tra voli cancellati e attese snervanti all'aeroporto di Amsterdam. Proprio per la mancanza di coincidenze ho raggiunto uno stato di concentrazione zen passando otto ore seduto su una poltrona all'aeroporto e osservando in lontananza il pigro mulinare dei generatori eolici al largo del mare del Nord.

Pure il volo non è stato dei più felici. Anche se ho cercato un posto intelligente con il check in online, in realtà sono finito su una seggiola spiaccicata sul muro della toilette (qui evito di descrivere l'allegro olezzo che mi ha fatto compagnia durante il viaggio).
Come al solito il viaggio trasatlantico non finiva più. Ho approffittato dell'occasione per analizzare il comportamento tenuto dalle mie vicine di seggiola (ebbene sì, ho avuto la fortuna di avere due belle ragazze bionde sedute a mio fianco). Alla mia sinistra una canadese, che ha ammazzato il tempo giocando con il solitario incluso nel menu del piccolo schermo a disposizione dei passeggeri e bevendo praticamente tutti gli alcolici che era possibile richiedere a bordo (memorabile la frase rivolta alla hostess: "coke and Baileys, please"). Alla mia destra una ragazza olandese che ha estratto un netbook e s'è vista due stagioni di Gossip Girl di fila. Da parte mia ho spremuto a fondo l'iPod ascoltando tutte le puntate accumulate di Condor e facendo un brevissimo sonno popolato da un incubo in cui Matteo Bordone era seduto sulle ali dell'aereo e rosicchiava cavi ed altri componenti cercando di far precipitare il veicolo.

mercoledì 14 ottobre 2009

Il biologico non è ecologico

Dove Eco visita un supermercato di lusso e riflette sul greenwashing imperante

Ho visitato un nuovo supermercato di bio-lusso aperto in città. Si trova nel complesso delle Fornaci[1], quell'edificio completamente rivestito di mattonelle bianche che si trova all'incrocio con viale Crispi. Un cubone che sembra un gigantesco bagno rovesciato come un calzino.

A differenza delle altre botteghe o minimarket biologici sparsi un po' ovunque a Vicenza, la dimensione di questo negozio è quella di un supermercato vero e proprio. Dentro c'è praticamente TUTTO, dalle radici di loto secche alle fasce porta neonato all'africana, ma non mancavano i prodotti più tradizionali, tutti biologici o del commercio equo. Considerevole il reparto di frutta e verdura fresca, nonché quello dei prodotti pronti e dei surgelati. Quello che mi ha colpito, però, è stato il prezzo della merce, al limite del ridicolo (ho visto pasta a 4,50 euro per la confezione da 250g).

Per molto tempo ho associato l'idea del biologico a quella dell'ecologico. Ovvero ad un sistema di coltivazione e produzione più rispettoso dell'ambiente, con un prodotto che eventualmente costava un po' di più (a causa di una resa minore) ma più compatibile con Madre Natura e più sano. Invece qui il biologico è associato all'idea del lusso. L'illuminazione è diffusa e sprecata, l'aria condizionata a manetta (e siamo a metà ottobre). All'ingresso non c'è nemmeno una rastrelliera per le biciclette[2] e tutti i clienti che ho visto parcheggiavano l'auto. I banconi frigorifero erano un modello classico, aperti, che consumano di più rispetto a quelli dotati di sportelli. Alle casse infilavano i prodotti nei vecchi sacchetti di plastica indistruttibile (anche se quelli biodegradabili erano presenti, ovviamente con un considerevole sovrapprezzo).

Tutto ciò mi sembra poco etico, considerando che l'attuale crisi economica sta colpendo pesantemente molti paesi in via di sviluppo. Gli alimenti stanno diventando troppo costosi per una grande fascia della popolazione mondiale. Inoltre trattare il biologico come un prodotto di lusso azzera tutti i benefici di una coltivazione maggiormente compatibile con l'ambiente. Vendere il grano bio rivestito di confezioni costose e posizionarlo in un negozio che spende una grande quantità di energia solo per presentarlo meglio agli occhi del pubblico mi sembra una bestemmia contro gli stessi principii che veicola.

Forse è normale in una città come Vicenza, che vive di valori distorti e contrastanti tra di loro. Qui la le fabbriche hanno un respiro internazionale e vendono in buona parte all'estero, ma sono gestite in un'ottica da botteguccia familiare che passa da padre in figlio. I palazzi sono protetti dall'Unesco, ma in periferia si continuano a creare disastri architettonici. I vicoli medievali sarebbero perfetti per i pedoni e le biciclette, ma l'abitante del centro storico si sposta esclusivamente col SUV (larghi appena una spanna in meno rispetto alla strada).

Al di là del caso di questo singolo negozio ho cominciato a pensare a tutta la filiera degli alimenti "naturali". Alla produzione i prodotti biologici costano meno di quelli normali perché non hanno le stesse spese per fertilizzanti e pesticidi. Però una volta alla cassa il prezzo aumenta per diversi fattori che vanno contrastati. In particolare:

1) Spesso la certificazione dei prodotti è costosa perché richiede una spesa in interventi di controllo. Soluzione: agevolazioni fiscali per la certificazione dei prodotti biologici, creazione di standard di controllo più efficienti (magari anche a livello europeo).

2) I prodotti bio si conservano per un periodo più breve e sono venduti in piccola quantità. Questo determina un maggior spreco per quanto riguarda scarti e alti costi di trasporto e stoccaggio. Soluzione: il bio non può più essere considerato un prodotto d'élite. Deve essere venduto in quantità maggiori, attraverso una catena di vendita più efficiente e maggiormente concorrenziale, che permetta di abbassare i prezzi.

3) Il negozio biologico non è ecologico. Soluzione: chi vende bio deve diventare bio esso stesso. Modificandosi in modo da spendere meno energia e acquistando corrente elettrica da fonti alternative. Proponendo confezioni minime che abbassano la quantità di rifiuti prodotti. Spingendo i clienti all'uso di borse di stoffa e riciclabili. Favorendo l'uso della mobilità alternativa, con meno parcheggi per le auto e più per le biciclette.

Sicuramente un negozio così sarà meno luccicante delle botteghe di bio-lusso delle nostre città. Ma forse sarà un posto più giusto in un mondo che sta cambiando (in peggio) e che non può sopportare sprechi. Specialmente quelli di chi si fregia di difenderlo.




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[1] I privati che hanno costruito il complesso dovevano contemporaneamente realizzare un grande parco pubblico in cambio della licenza edilizia. La faccenda s'è trascinata per anni perché i costruttori, dopo aver messo in piedi gli edifici, si sono "dimenticati" di realizzare le opere pubbliche. Il parco è rimasto per molto tempo una zona degradata. Infine, quando l'area verde era quasi ultimata (non senza qualche contenzioso col Comune), c'è stato l'ennesimo blocco. In quella zona sorgeva una fonderia (da qui il nome Fornaci) e il terreno era inquinato. Sono dovuti passare molti anni e altri interventi di riqualificazione (credo anche a carico dell'Amministrazione) per poter aprire il parco al pubblico.

[2] Eventualmente era possibile lasciare la bici nelle rastrelliere a fianco, però si trattava di una struttura realizzata dal supermercato tradizionale che ha sede nello stesso edificio. Ovviamente anche questo supermercato è semi-abusivo come un po' tutto in zona (ha aperto senza avere i permessi necessari, poi, dopo un periodo in cui sembrava che dovesse chiudere, è sceso a patti con l'Amministrazione pagando gli oneri del caso. Eh, in Italia si condona un po' tutto).